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Autore: admin

Tossicità nelle relazioni

La relazione tossica è una relazione disfunzionale che ci tiene legati per troppo tempo a persone non adatte a noi e dietro la quale spesso si celano delle vere e proprie dipendenze affettive.

Sono rapporti che piuttosto che donare benessere e serenità sono fonte di ansia, preoccupazione e insoddisfazione. Si tratta di legami conflittuali che prosciugano lasciando privi di energie.

La relazione tossica è caratterizzata da un aspetto distruttivo che, come accennato sopra, si ripete ciclicamente (litigi, accuse, ripicche, manipolazioni..) e da un aspetto di dipendenza dall’altro, per cui non si riesce a lasciarlo andare uscendo da queste dinamiche negative. Ci si danneggia a vicenda emotivamente e fisicamente.

Come riconoscere se una relazione è tossica?

Alcuni segnali d’allarme nella relazione possono essere:

  • svalutazione
  • controllo
  • aggressività
  • manipolazione
  • isolamento
  • colpevolizzazione
  • ricatto

Come si può uscire da una relazione tossica?

Il primo passo è rendersene conto; in un secondo momento diventa importante:

  • prendere le distanze emotivamente e fisicamente
  • farsi aiutare da uno specialista per elaborare progressivamente il significato della scelta di una relazione disfunzionale e capire a cosa si ricollega rispetto a propri bisogni irrisolti
  • trovare un nuovo equilibrio.

Nuove dipendenze: di che si tratta?

Con il termine “new addictions” (nuove dipendenze) si fa riferimento ad una vasta gamma di condotte disfunzionali nelle quali l’oggetto di dipendenza non è una sostanza ma un comportamento o un’attività lecita e socialmente accettata.
In particolare, “addiction” rappresenta l’aspetto comportamentale della dipendenza, la ricerca continua dell’oggetto o la ripetizione compulsiva di un determinato comportamento, senza il quale l’esistenza perde di significato.
Questi comportamenti sono caratterizzati da una gratificazione immediata, spesso accompagnata da effetti negativi a lungo termine.
Tra le new addictions rientrano: le dipendenze tecnologiche, il gioco d’azzardo, dipendenza da sesso, cibo, lavoro, telefono cellulare, shopping compulsivo, dipendenza affettiva.
La dipendenza da tecnologia è un tipo di dipendenza comportamentale dei tempi odierni, caratterizzata dall’uso patologico dei dispositivi tecnologici come la TV, lo smartphone, il tablet e il computer. Appartengono a questo tipo di dipendenza il gioco d’azzardo patologico, lo shopping compulsivo e l’abuso di siti e-commerce quali casinò virtuali, i giochi d’azzardo interattivi, siti di case d’asta o di scommesse online, dove l’utente arriva a perdere importi eccessivi di denaro.
La dipendenza cibersessuale è una dipendenza dal sesso virtuale. Gli individui che ne soffrono sono di solito inclini allo scaricamento, all’utilizzo e al commercio di materiale pornografico online, oppure partecipano a chat-room per soli adulti.
Nella dipendenza affettiva è irrefrenabile il bisogno dell’altro. Si soffre molto sia in relazione sia quando la relazione finisce o non inizia affatto (dopo essere stati illusi che questa sarebbe potuta iniziare).
Rispetto alla dipendenza da sostanze, le new addictions sono più difficili da identificare in quanto ben inserite nelle attività quotidiane.
Il percorso terapeutico, in particolare la psicoterapia di gruppo, risulta indicato in quanto può aiutare ad acquisire consapevolezza rispetto alle modalità patologiche, definire i pensieri e le emozioni che contribuiscono al persistere nella dipendenza, affiancare nella ricerca di strategie alternative, mettere in evidenza le criticità e le risorse della persona.

La violenza psicologica

La violenza psicologica, in quanto forma di maltrattamento, ha carattere ciclico per cui a momenti di tensione e aggressività possono alternarsi momenti di riappacificazione e calma.

Le donne maltrattate a causa della manipolazione mentale esercitata su di loro, hanno paura della persona che amano e cambiano i loro comportamenti in base alle eventuali reazioni di rabbia da parte del partner rimanendo incastrate in un circolo vizioso distruttivo ed estenuante (www.savethechildren.it) .

“Studi hanno evidenziato (…) come le donne che vivono uno stato cronico di maltrattamento, temendo per la propria vita e restando in attesa di un attacco successivo, mostrano ipervigilanza, sfinimento, confusione e disorientamento (www.stateofmind.it). Possono sviluppare risposte di stress, depressione e ansia.

La violenza psicologica è ancora oggi un fenomeno che tende a restare sommerso e viene spesso confuso con il conflitto di coppia.

E’ fondamentale avere il coraggio di contattare un centro antiviolenza al fine di trovare il percorso più adeguato che porti verso la libertà.

Sul sito della Regione Lazio è possibile trovare tutti i riferimenti dei centri antiviolenza presenti sul territorio: www.regionelazio.it

Pandemia ed effetti su bambini e adolescenti

Il Dr. Vicari, Professore ordinario di Neuropsichiatria Infantile presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e Responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, in un’intervista per Orizzonte Scuola, sottolinea come nei bambini in età preadolescenziale si sia registrato un aumento dei disturbi del sonno e dell’ansia in generale. Sono bambini che dormono meno o hanno un sonno disturbato e sono preoccupati per la propria salute e per quella dei propri genitori.

Per quanto riguarda gli adolescenti, oltre ad un netto aumento dei disturbi del sonno, si evidenzia anche la comparsa di quadri di ansia e di depressione, di forte chiusura e di isolamento. Nell’analisi dei dati si riscontra, afferma il Prof. Vicari, “una differenza marcata tra la prima e la seconda fase della pandemia. Nella prima ondata, il periodo che va da marzo a giugno, abbiamo registrato addirittura una leggera diminuzione dei casi di rilevanza psichiatrica, parlo di ragazzi che hanno manifestato un vero e proprio disturbo mentale, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il tutto è cambiato drammaticamente con la seconda ondata, il periodo che va da ottobre ad oggi, dove invece abbiamo registrato un forte aumento delle richieste di aiuto nell’ordine del 25/30 % in più. Se guardiamo ai dati provenienti dal nostro pronto soccorso, quindi alle situazioni più drammatiche, c’è un netto aumento dei tentativi di suicidio. Il motivo per cui i ragazzi arrivano in pronto soccorso sono prevalentemente legati a tentativi di suicidio o comunque ad attività di autolesionismo. Questo dato lo interpretiamo come legato alle caratteristiche differenti che le due ondate hanno avuto. Nel primo caso si è associata una maggiore disponibilità a vivere le norme restrittive, nel senso che i ragazzi, in molti casi, hanno vissuto la chiusura delle scuole come un’anticipazione delle vacanze e poi, dato ancora più importante, in quel periodo i genitori erano presenti in casa, siamo stati tutti chiusi in casa. Questo ha avuto una funzione di protezione, anche in quelle situazioni che in altre circostanze sarebbero precipitate. Ad ottobre, invece, la chiusura delle scuole, almeno per la secondaria di secondo grado, ha coinciso con l’assenza dei genitori, che nella maggior parte dei casi avevano ripreso la propria attività lavorativa, e questo probabilmente ha ridotto gli strumenti di difesa dei ragazzi, in qualche modo si sono sentiti più soli. La solitudine è l’aspetto che più frequentemente i ragazzi ci raccontano quanto ci raggiungono in ospedale”.

Diventa importante alla luce di quanto sopra riportato, ascoltare i bambini e gli adolescenti favorendo la comunicazione emotiva, parlando e chiedendo loro come si sentono, permettendogli di fare domande e chiedere spiegazioni che possano aiutarli ad avere informazioni più chiare e realistiche rispetto a quanto accade intorno.  

Poiché la nostra mente e il nostro corpo sono interconnessi, l’attività fisica, anche per pochi minuti, modifica i neurotrasmettitori nel cervello e può aiutare nella regolazione emotiva soprattutto in caso di reazioni esagerate con scoppi d’ira e perdita del controllo (ad esempio nel momento dei compiti).

Si sa purtroppo ancora poco sugli effetti a lungo termine delle pandemie sulla salute mentale dei bambini.

 

Lockdown e crisi della coppia

Nel caso di coppie che erano già in crisi prima del lockdown, la convivenza può aver esacerbato degli aspetti di insoddisfazione e disaccordo.  

Nel caso di coppie da poco conviventi, il lockdown può aver offerto un’occasione di conoscenza e di confronto reciproco.

Nel caso di coppie unite ormai da tempo, il lockdown può aver contribuito a creare l’occasione per ritrovare un’intimità e una sintonia svanita a causa dell’abitudinarietà, dei ritmi frenetici, della scontatezza dei comportamenti reciproci.

Il dialogo e la comunicazione all’interno della coppia hanno un valore fondamentale: aprirsi all’altro, per quanto difficile, può favorire l’empatia e la comprensione. Esercitarsi a comunicare le proprie emozioni al partner favorisce lo scambio e l’ascolto. La discussione diventa un momento di confronto utile per trovare alternative più funzionali nel rapporto. Durante una lite non necessariamente bisogna uscire vincitori: riuscire a disinnescare il litigio significa andare oltre le accuse verso l’altro per trovare nuove strategie di relazione insieme.

Fare progetti, ritrovarsi in una nuova sessualità e scoprire nuovi interessi di coppia possono essere suggerimenti utili per nutrire il rapporto evitando di cadere nella tentazione di cercare in una relazione extraconiugale stimoli diversi e più appaganti.

“Vedi cara, certe crisi son soltanto segno di qualcosa dentro che sta urlando per uscire….

vedi cara è difficile spiegare, è difficile capire se non hai capito già…”

(Francesco Guccini, Vedi cara, 1970)

 

Ho paura!

Le diverse paure dei bambini, durante la crescita, sono potenzialmente infinite e dipendono in larga misura dalla storia personale: esistono tuttavia una serie di paure che possono essere considerate tipiche dell’età evolutiva (Quadrio Aristarchi, Puggelli, 2006): quella della separazione, della morte, del buio, dei fantasmi, dei serpenti, dell’abbandono, dei mostri, del dottore, ecc.

Può capitare che alcune di queste paure si presentino in quelle situazioni in cui il bambino tende ad immedesimarsi nelle ansie, paure e preoccupazioni dei genitori. E’ molto importante la reazione degli stessi genitori di fronte ad un fatto o situazione che mette paura: “i bambini percepiscono ciò che gli adulti provano e attraverso il cosiddetto contagio emotivo sono in grado di regolare la loro reazione emozionale sulla base della reazione dell’adulto di riferimento. Se i genitori si spaventano, il bambino sarà molto più spaventato perchè impara e rinforza che quello stimolo è realmente pericoloso; se i genitori al contrario minimizzano quanto accaduto lo aiutano a inquadrare il fatto nella giusta prospettiva (Quadrio Aristarchi, Puggelli, 2006)”.

L’Ospedale Bambino Gesù di Roma mette in evidenza alcuni punti fondamentali relativi alla paura dei bambini:

– La paura va rispettata e non ridicolizzata, accettata nel suo aspetto emotivo e non razionalizzata;

– Le paure vanno accolte come un aspetto della crescita e non usate come “arma” per far crescere;

– La fiducia in sé va valorizzata affinché il bambino si senta capace di affrontare le sue paure;

– le aspettative dell’adulto non devono andar oltre le reali capacità del bambino;

– È bene aiutare il bambino a capire e valutare le conseguenze dannose di un suo comportamento, senza però intimorirlo oltremisura;

– Alle naturali paure del bambino non vanno aggiunte le nostre paure, né le nostre eventuali preoccupazioni o angosce .

(http://www.ospedalebambinogesu.it/le-paure-dei bambini#.X5Z1nYhKjDd )

Un valido modo per aiutare ad elaborare ed esprimere le paure dei bambini è rappresentato dai racconti, dalle filastrocche e dalle favole: in queste storie le paure e le tensioni sono espresse in maniera tale che i piccoli possano riconoscerle comprenderle ed elaborarle. Nelle favole vi sono esempi di come le difficoltà possono essere risolte e le paure superate. Basta pensare a Cenerentola, Pinocchio e Pollicino che dopo diversi ostacoli e prove da superare, dopo sentimenti di ansia e paura, riescono a trovare pace e felicità.

Se la paura nel bambino persiste nel tempo condizionando negativamente la sua vita e quella dei genitori diventa importante chiedere aiuto ad un esperto.

Per saperne di più: https://www.stateofmind.it/2015/12/paure-dei-bambini/

 

Rientrare a scuola dopo il lockdown

Durante la crisi pandemica ogni famiglia ha dovuto tirare fuori tutte le risorse che possedeva per aiutare i propri figli con la didattica on line e gestire allo stesso tempo, per chi ha avuto la fortuna di farlo, lo smart working.

I bambini sono stati sottoposti a notevoli stress e le loro routine sono state stravolte.

Le agenzie educative si troveranno dal mese di settembre in poi ad affrontare delle sfide molto intense, prima tra tutti il rientro a scuola.

Per questo è importante pensare ad un “percorso di supporto psicologico dei bambini a scuola nel periodo del Covid-19”, un percorso che accompagni il bambino verso la ri -socializzazione e la condivisione progressiva di quanto accaduto con i pari e con gli educatori di riferimento. Diventa importante il potersi raccontare e il poter esprimere le emozioni e i vissuti in relazione a quanto accaduto durante il lockdown usando il gruppo come contenitore e canale di confronto.  

Michele Capurso, ricercatore e professore di psicologia dell’educazione all’università di Perugia e coautore, insieme alla collega Claudia Mazzeschi del corso accreditato dal Miur «Accogliere i bambini in classe dopo l’emergenza Coronavirus» segnala che «Il rischio maggiore è che non vengano aperti gli spazi che servono alla mente umana e ai bambini in particolare per la condivisione. Spazi di narrazione per raccontare non tanto l’oggettività di quello che è successo, ma il modo in cui ogni bambino ha vissuto questa situazione». «I bambini più fragili potrebbero non avere avuto a casa gli strumenti necessari per capire quello che gli accadeva. Sarà la scuola a dover fornire strategie che permettano ai bambini di elencare i loro timori e preoccupazioni».  I loro coetanei avranno in tal senso un’importanza fondamentale: «Quando i bambini hanno queste difficoltà cercano prima di tutto un gruppo di pari mettendo in atto gli elementi del “coping”, ovvero della capacità di far fronte alle difficoltà».

I bambini dovranno progressivamente essere accompagnati nel processo di recupero dei propri spazi, del proprio tempo nella relazione con i coetanei e con gli educatori di riferimento, dovranno essere affiancati indirettamente nel lavoro di elaborazione di quanto accaduto. Soltanto in questo modo riusciranno a recuperare la dimensione di vita comunitaria aprendosi a nuovi apprendimenti e a nuove curiosità.

 

Il dolore nella psiche: il suicidio

Se il ruolo del suicidio è quello di porre fine ad un dolore mentale insopportabile, allora il compito principale di colui che é deputato ad aiutare l’individuo é alleviare questo stato con ogni mezzo a disposizione. (Shneidman 2004; 2005). Se infatti si ha successo in questo compito, quell’individuo che voleva morire sceglierá di vivere. Shneidman (1993a) inoltre considera che le fonti principali di dolore psicologico ovvero vergogna, colpa, rabbia, solitudine, disperazione, ecc. hanno origine dai bisogni psicologici frustrati e negati. Nell’individuo suicida è la frustrazione di questi bisogni e il dolore che ne deriva ad essere considerata una condizione insopportabile per la quale il suicidio è visto come il rimedio più adeguato.

Sono tre i fattori predisponenti al suicidio: la non appartenenza, la convinzione di essere un peso per gli altri e lo scarso timore del dolore e della morte. Lo psicoterapeuta potrebbe quindi intervenire sulle prime due credenze. Oltre a ciò, è bene ricordare l’importanza dell’ambiente sociale nel determinare il suicidio di un soggetto e quindi, una volta compiuto l’assessment del rischio suicidario, si possono pensare, a fianco degli interventi terapeutici appropriati (ad esempio secondo le linee indicate da Mancini), interventi mirati sull’ambiente”. (http://www.prevenireilsuicidio.it/index.php?option=com_content&view=article&id=61&Itemid=245 )

I pazienti che vengono ricoverati in ospedale dopo un tentativo di suicidio siano maggiormente a rischio di morte per suicidio durante i primi giorni o settimane dopo la dimissione e il rischio rimane elevato durante i primi 6-12 mesi dopo la dimissione.

“Fattori di maggiore rischio per il suicidio comprendono:

  • L’umore del paziente può richiedere molto tempo per migliorare.
  • Il paziente potrebbe non essere abbastanza ottimista da assumere i farmaci prescritti.
  • Il paziente potrebbe non sentirsi abbastanza bene per andare all’appuntamento programmato di follow up.

Una volta a casa, il paziente avverte che i problemi precipitanti non sono risolti.

Di conseguenza, prima della dimissione, il paziente, i familiari o un amico intimo devono essere informati sul rischio immediato di morte per suicidio, e deve essere preso un appuntamento per il follow up nella prima settimana dopo la dimissione prima che il paziente lasci l’ospedale. Una o due semplici telefonate dopo la dimissione hanno dimostrato di ridurre significativamente i tentativi di reiterare l’atto suicidario. Inoltre, al paziente, ai familiari o all’amico devono essere indicati i nomi, le dosi e la frequenza delle somministrazioni dei farmaci del paziente.

Durante le prime settimane dopo la dimissione, la famiglia e gli amici devono assicurarsi che il paziente non sia lasciato solo”. ( https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/disturbi-psichiatrici/comportamento-suicidario-e-atto-autolesionistico/comportamento-suicidario)

 

TABELLA

Fattori di rischio e segni d’allarme per il suicidio

( https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/disturbi-psichiatrici/comportamento-suicidario-e-atto-autolesionistico/comportamento-suicidario)

Tipo

Fattori specifici

Dati demografici

Maschio

Età 45-64

Situazione sociale

Anniversari di particolare significato

Disoccupazione o difficoltà finanziarie, in particolare se hanno causato un drastico calo dello status economico

Recente separazione, divorzio o vedovanza

Arresto recente o problemi con la legge

Isolamento sociale con reale o immaginario atteggiamento non comprensivo da parte di parenti o amici

Anamnesi positiva per suicidio

Precedenti tentativi di suicidio

Elaborazione di piani dettagliati di suicidio, l’adozione di misure per l’attuazione del piano (ottenere una pistola o delle pillole), e prendere precauzioni per non essere scoperti

Anamnesi familiare di suicidio o di disturbo mentale

Caratteristiche cliniche

Depressione, soprattutto all’esordio

Importante agitazione motoria, irrequietezza e ansia con insonnia grave

Marcati sentimenti di colpa, inadeguatezza e disperazione; percezione di essere un peso per gli altri (onerosità); autodenigrazione; delirio nichilistico

Delirio o convinzione delirante di un disturbo fisico (p. es., cancro, malattia cardiaca, malattia a trasmissione sessuale) o altri deliri (p. es., deliri di povertà)

Allucinazioni controllate

Personalità ostile, impulsiva

Una malattia fisica cronica, dolorosa, invalidante, specialmente nei pazienti precedentemente sani

Uso di farmaci

Abuso di alcol o di droghe (compreso l’abuso di farmaci da prescrizione), soprattutto se l’uso recente è aumentato

L’uso di farmaci che possono contribuire a comportamenti suicidari (p. es., interrompere bruscamente l’assunzione di paroxetina e di alcuni altri antidepressivi può causare un aumento della depressione e dell’ansia, che a loro volta aumentano il rischio di comportamento suicidario)

 

Quando l’idea di uscire da casa terrorizza: la sindrome della capanna

Le restrizioni imposte con l’emergenza Covid 19 possono predisporre alcune persone all’insorgenza della sindrome della capanna. Quest’ultima ha un’alta incidenza in alcuni stati degli Usa dove “la popolazione è costretta a rimanere in casa per mesi per affrontare in sicurezza gli inverni molto rigidi e prova un senso di straniamento e angoscia all’arrivo della primavera quando torna ad avere contatti diretti e più stretti con il mondo esterno. Lo stesso effetto lo ha chi esce da un periodo di malattia molto lungo o di ospedalizzazione prolungata” (https://lamenteemeravigliosa.it/sindrome-della-capanna-paura-di-uscire-dalla-quarantena/).

Secondo le stime della Società italiana di Psichiatria, non si tratta di un fenomeno raro. Sono infatti circa un milione di italiani, quelli che adesso hanno paura di tornare alla normalità.

Sintomatologia

Uno dei sintomi più comuni è la letargia, la necessità di fare lunghi pisolini e la difficoltà a svegliarsi la mattina.

Si possono riscontrare perdita di motivazione nel fare le cose, calo della concentrazione, paura e angoscia per il futuro, depressione e attacchi di panico.

Le persone che soffrono di questa sindrome manifestano poca voglia di uscire perché hanno paura di tornare alla normalità e stanno bene in casa, circondati da quello di cui necessitano.

La sindrome della capanna non è un disturbo psicologico. Descrive semplicemente una situazione emotiva normale dopo un contesto di isolamento durato diverse settimane.

Anche i bambini possono manifestare questa sindrome rifiutandosi ad uscire di casa e sentendosi al sicuro solo dentro l’ambiente domestico: “Fuori c’è il coronavirus, non voglio uscire”, “Chiudo le finestre perché altrimenti entra il virus”.

Come affrontare la situazione?

Serve gradualità. Il tempo e lo sforzo di riprendere piccole abitudini della vita quotidiana, che includano brevi uscite da casa, possono essere un primo passo verso la risoluzione progressiva.

Bisogna aiutare i bambini a riprendere una nuova normalità, nella consapevolezza che se noi adulti recuperiamo una serenità loro potranno fare altrettanto.

Quando l’idea di uscire da casa terrorizza e non tende ad alleviarsi con il passare del tempo, è importante chiedere aiuto ad un professionista.

 

Sul Coronavirus

Il Coronavirus è un “virus contagioso ma come ha sottolineato una fonte OMS, su 100 casi che si ammalano la maggior parte ha solo problemi lievi. Le misure collettive eccezionali scaturiscono dall’esigenza di arginare l’epidemia, perché la quota di persone che ha problemi più seri diventa importante…” (http://www.psy.it/wp-content/uploads/2020/03/pieghevole-vademecum-coronavirus-CNOP-9-marzo.pdf)

Il panico e l’eccesso di emotività alimentano la parte dei pensieri irrazionali facendoci ignorare i dati oggettivi e comportando l’attenuarsi della capacità di ragionare in modo lucido. “La regola fondamentale è l’equilibrio tra il sentimento di paura e il rischio oggettivo”.

La paura e la preoccupazione ci possono spingere verso la spasmodica e ossessiva ricerca dell’invulnerabilità, ricerca che può provocare un’alienazione dal mondo esterno e una chiusura in noi stessi.

Il vademecum di cui sopra offre 3 suggerimenti fondamentali per affrontare il problema coronavirus:

  1. Usare soltanto fonti di informazione attendibili evitando la ricerca compulsiva sui social e sui media (Ministero della Salute e Istituto Superiore di Sanità);
  2. Il fenomeno Coronavirus non è un fenomeno individuale ma collettivo, per questo è fondamentale proteggerci come collettività (http://www.epicentro.iss.it/coronavirus.it)
  3. E’ di fondamentale importanza agire tutti in modo responsabile e informato aiutandoci a vicenda e rispondendo alle domande che vengono poste dai bambini,

Se l’ansia e la paura iniziano a sovrastarti non aver timore o vergogna di chiedere aiuto ad uno specialista.