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Autore: admin

Il Disturbo bipolare

A che età si può manifestare il disturbo?

In adolescenza o nella fascia 20-40 anni.

Per quanto tempo devono essere presenti le variazioni dell’umore?

Queste variazioni patologiche dell’umore persistono per mesi e anni ed hanno sulla persona un effetto invasivo tanto da influenzarne ed alterarne la capacità di giudizio.

Come intervenire?

Il Disturbo Bipolare è una patologia molto seria che, se non trattata tempestivamente ed in maniera adeguata, può causare gravi sofferenze e risultare decisamente invalidante. Il rischio di suicidio è tra l’11 e il 19% per chi ne soffre ( www.stateofmind.it ).

E’ necessario contattare uno psichiatra che prescriverà la terapia farmacologica in genere basata su stabilizzatori dell’umore e affiancare, in alcuni casi, la psicoterapia.

La persona con disturbo bipolare non deve essere stigmatizzata: la regolare assunzione di farmaci e la consapevolezza rispetto alle diverse fasi del disturbo fanno sì che l’individuo sia in grado di gestire la propria vita in modo autonomo.

Il Disturbo bipolare

Cos’è?

Il disturbo bipolare o sindrome maniaco depressiva è caratterizzato da gravi alterazioni dell’umore, con alternarsi di episodi maniacali (forte esaltazione e irritabilità) e depressivi.

A che età si può manifestare il disturbo?

In adolescenza o nella fascia 20-40 anni.

Per quanto tempo devono essere presenti le variazioni dell’umore?

Queste variazioni patologiche dell’umore persistono per mesi e anni ed hanno sulla persona un effetto invasivo tanto da influenzarne ed alterarne la capacità di giudizio.

Come intervenire?

Il Disturbo Bipolare è una patologia molto seria che, se non trattata tempestivamente ed in maniera adeguata, può causare gravi sofferenze e risultare decisamente invalidante. Il rischio di suicidio è tra l’11 e il 19% per chi ne soffre ( www.stateofmind.it ).

E’ necessario contattare uno psichiatra che prescriverà la terapia farmacologica in genere basata su stabilizzatori dell’umore e affiancare, in alcuni casi, la psicoterapia.

La persona con disturbo bipolare non deve essere stigmatizzata: la regolare assunzione di farmaci e la consapevolezza rispetto alle diverse fasi del disturbo fanno sì che l’individuo sia in grado di gestire la propria vita in modo autonomo.

“E’ più facile rompere un atomo che un pregiudizio” (A. Einstein)

Bambini e dipendenza da tablet e smartphone

Comportamenti questi molto rischiosi che possono provocare seri danni sia dal punto di vista fisico sia dal punto di vista psichico. Se prima il bambino non ha appreso ed esercitato la capacità di disegnare, manipolare, costruire, sviluppando la manualità, l’utilizzo dei dispositivi digitali può confonderlo e creare dei problemi rispetto alla graduale successione delle varie tappe dello sviluppo infantile.

Spesso i genitori, troppo permissivi, sottovalutano l’entità dei danni psicofisici che l’uso smodato dei tablet e degli smartphone può provocare nei bambini piccoli. L’eccesso di connessione può portare all’insorgenza di disturbi comportamentali, relazionali e di apprendimento; problemi relativi all’udito, alla vista, al metabolismo (obesità), al ritmo del sonno.

A tale riguardo la SIP (Società Italiana Pediatri) ha pubblicato un documento ufficiale sull’uso dei media device (cellulare, tablet, smartphone, pc) nei bambini da 0 a 8 anni di età, evidenziando dei punti centrali:

  • No a smartphone e tablet prima dei 2 anni, durante i pasti e prima di andare a dormire;
  • Limitare l’uso a massimo un’ora al giorno nei bambini di età compresa dai 2 ai 5 anni e al massimo 2 ore al giorno per quelli di età compresa tra i 5 e gli 8 anni;
  • Si sconsigliano l’uso di cellulari e tablet per calmare o distrarre i bambini (www.sip.it) .

E’ necessario porre dei limiti ai bambini e trovare modi alternativi per calmarli e per rapportarsi. I genitori dovrebbero dare l’esempio, limitando l’uso di smartphone e di tablet trasmettendo ai propri figli il piacere della lettura, del gioco e del disegno in modo da poter stimolare le abilità linguistiche, cognitive e socio-emozionali del bambino.

Bisogna tornare a riflettere sul significato della noia, intesa come un “saper stare”, e su quanto questa possa essere da stimolo per ri-scoprire la creatività del bambino.

Il ruolo delle emozioni nella prestazione sportiva

Nello sport a livello agonistico esistono pressioni ambientali e di risultato che stressano l’atleta togliendogli lucidità con situazioni di stress negativo e caduta prestazionale. Si parla allora di ansia agonistica. (www.scienzemotorie.com/le-emozioni-nello-sport-agonistico/)

L’ansia è uno stato psichico di un individuo, prevalentemente cosciente, caratterizzato da una sensazione di intensa preoccupazione o paura, relativa a uno stimolo ambientale specifico, associato a una mancata risposta di adattamento da parte dell’organismo in una determinata situazione che si esprime sotto forma di stress per l’individuo stesso.

L’ansia di per sé non è patologica. Si traduce in ansia somatica (muscolarmente in tensione strutturale) e in ansia cognitiva (fissazione del pensiero e preoccupazioni).

Una certa dose di ansia è funzionale per attivare risposte muscolari e cognitive rendendo l’atleta reattivo, lucido e tonico. Se questa tensione supera un certo livello di soglia o AROUSAL, considerata normale, si trasforma in un crollo disastroso producendo somatizzazioni varie a livello psichico, ormonale e fisico con conseguenti rischi per la salute psicofisica dell’atleta.

I pensieri giocano un ruolo fondamentale in ogni atleta in quanto incidono sullo stress. Possono agire negativamente o positivamente sulla prestazione influenzando l’autostima.

Programmi specifici di allenamento mentale permettono di allentare le tensioni e gestire l’ansia raggiungendo una lucidità mentale focalizzata verso l’obiettivo che si intende raggiungere.

Sofferenza e male di vivere: i ragazzi emo

Emo è l’abbreviazione di Emotivo e rappresenta uno stile di vita in cui assume centralità il manifestare una condizione depressiva o di dolore in generale. Emo in greco significa sangue e questo aggiunge anche una connotazione autolesionistica (tagli su gambe o braccia).

I ragazzi Emo ascoltano musica definita ‘emo-core’ e adottano un particolare tipo di abbigliamento: smalto nero, maglioni di lana larghi o magliette molto strette, pantaloni di velluto, scarpe da ginnastica, skinny jeans, occhi truccati, frangetta asimmetrica che copre il viso, collane lunghe con teschi e simboli di morte. Hanno tatuaggi vistosi raffiguranti simboli di morte e capelli sopra lunghi e sotto rasati e con tinte strane.

I giovani Emo rappresentano la generazione del vuoto. Mostrano di appartenere al gruppo mettendo in atto comportamenti autodistruttivi quali suicidarsi, piangere, deprimersi, “fare lo sfigato”.

Secondo il dott. Jannaccone Pazzi, psicologo di Humanitas Salute, questi ragazzi non hanno sviluppato, o non sono in grado di utilizzare, “un apparato per pensare, sperimentare e riconoscere i propri stati emotivi e che solo attraverso l’enfasi di uno di questi si sentono in grado di possederlo, sentirlo, viverlo”, si tratta di giovanissimi che non riuscendo a ‘sentire’ si ritrovano a manifestare espressioni dal colore acceso con la finalità inconscia di sentirsi vitali.

Per comprendere il fenomeno Emo spiega il dott. Pazzi “è necessario fare riferimento alla nuova era della tecnologia. Fenomeni come Internet amplificano la diffusione dell’informazione e accorciano le distanze interpersonali, trasformano inevitabilmente la dimensione relazionale tra le persone. Questa, svuotata di ogni odore, contatto, di quel ‘sentire’ che appartiene tipicamente alle relazioni umane, tende ad incrementare, nelle generazioni emergenti, un’incapacità di ‘sentire’, a viversi come persone ‘vive e vitali’; ecco quindi il fenomeno autolesionistico prendere forma come soluzione disperata di auto-aiuto”.

I disturbi specifi dell’apprendimento

I DSA (disturbi di apprendimento) sono disturbi di carattere evolutivo (disturbi del neuro sviluppo) che coinvolgono una specifica abilità (lettura, scrittura o calcolo), lasciando, e questo è importante da specificare, intatto il funzionamento intellettivo generale. Questi disturbi dipendono dalle diverse modalità di funzionamento delle rete neuronali coinvolte in questi  processi. Non sono causati da deficit di intelligenza, come già detto, ne da deficit sensoriali, ne tantomeno da problemi ambientali o psicologici. Non si tratta quindi di malattie o patologie , ma soltanto di un disturbo, “caratteristica”, di un bambino/ragazzo. In genere si manifestano con l’inizio della scolarizzazione proprio perché è qui che incontrano la difficoltà, anche se già nella scuola dell’infanzia, possiamo, attraverso un’osservazione attenta e sistematica, cogliere dei segnali importanti.

Questi disturbi sono stati finalmente riconosciuti a livello normativo nel 2010, con la legge 170, con riferimento (per i clinici che fanno la diagnosi) all’ ICD-10, cioè al manuale che classifica le malattie e i disturbi redatto dall’OMS. Per  valutare e diagnosticare un bambino/ragazzo vengono effettuate prove standardizzate. Queste devono dimostrare che :

  • Ci siano difficoltà in una o più abilità specifiche che porti ad una prestazione al di sotto di quella attesa per l’età
  • Il Q.I. sia nella norma
  • Non ci sia un ritardo globale dello sviluppo
  • Le difficoltà non siano imputabili a disturbi uditivi, visivi, motori o svantaggio socio culturale.
  • Il disturbo interferisca sulla carriere scolastica, ma anche sullo sviluppo della personalità e della vita sociale in generale

L’ICD-10 individua sei categorie di DSA, ma le specifiche sono tre: disturbo specifico di lettura, di compitazione, di abilità aritmetiche meglio conosciute come dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia. Questi possono presentarsi singolarmente o insieme e l’evoluzione è favorita dalla precocità d’intervento.                                                        

Qui gli insegnanti giocano un ruolo importantissimo; non devono fare diagnosi, ma essere in grado di riconoscere e segnalare , per esempio, una difficoltà di linguaggio, una confusione di parole con pronuncia simile, difficoltà di espressione, rappresentazione grafica e difficoltà nel confrontare,manipolare quantità e nella capacità di astrazione della numerosità.                                                                                                  

Tuttavia la diagnosi vera e propria può essere effettuata verso la fine della classe seconda primaria e per quanto riguarda il calcolo, al termine del terzo anno.

Molti bambini soprattutto in prima e seconda manifestano difficoltà, ma non tutti presenteranno poi un disturbo di apprendimento. Qui gli insegnanti, con strumenti, strategie alternative e potenziamento, riusciranno a segnalare alla famiglia soltanto l’ipotetico DSAGli alunni DSA una volta certificati (o anche in via di certificazione), avranno a scuola la possibilità di seguire un PDP cioè un piano didattico personalizzato, in base alle difficoltà riscontrate.                                                        

 È bene ricordare che la famiglia gioca un ruolo fondamentale. È importante che scuola-famiglia e specialista collaborino insieme in modo proficuo con un percorso specifico per il bambino/ragazzo.

L’alunno non si sentirà meno degli altri e il suo percorso formativo e di crescita globale sarà grafitante.     

Katia Mazzalupi

Insegnante e Tutor DSA                                                                                            

Capricci

Se questi ultimi mandano messaggi contrastanti o regole poco chiare  il bambino può confondersi: i genitori ai suoi occhi inizieranno ad essere poco credibili e lui inizierà ad acquisire sempre più potere nella relazione.

Daniele Novara, famoso pedagogista, sostiene che la maggior parte dei capricci dei bambini dipendono dalla poca chiarezza degli adulti. Secondo Novara, se si rimandano al bambino scelte e decisioni quotidiane il bambino sarà investito di un potere eccessivo che non gli appartiene e che soprattutto non può gestire, in quanto, fino ai 6-7 anni non ha ancora acquisito la reversibilità del pensiero. Quest’ultima è la capacità del bambino di comprendere le conseguenze di un comportamento.

Il genitore che chiede al bambino cosa vuole mangiare oppure come si vuole vestire rischia di entrare in una situazione di decisione\indecisione dalla quale spesso quest’ultimo non sa uscire: il capriccio diventa allora il tentativo di scaricare la tensione accumulata e di uscire dalla confusione.

E’ il genitore che deve sapere cosa il bambino deve o no deve mangiare, a che ora deve andare a dormire o come deve vestirsi. Il bambino non possiede ancora gli strumenti per farlo.

Novara sostiene che “se si danno regole precise, chiare e condivise, i capricci comportamentali sono soltanto rare eccezioni”. Suggerisce inoltre di evitare di discutere con il bambino di 3-4-5 anni chiedendogli cosa vuole fare o non fare o chiedendo una sua approvazione perché questa modalità può provocare uno stato d’ansia nel bambino così piccolo in quanto ancora non completamente in grado di esprimere preferenze.

Secondo Claudia M. Gold, pediatra e psicologa americana, il modo migliore per affrontare i capricci del bambino è quello di “tenerlo nella mente”, mettendosi nei suoi panni e provando empatia: in questo modo il bambino sentendosi compreso impara nel corso della crescita a riconoscere le proprie emozioni e gestirle. Il genitore così accoglie e contiene l’emozione del bambino legittimando la sua rabbia ma trasmette al tempo stesso disapprovazione verso il comportamento capriccioso. 

 

Testi consigliati:

Novara Daniele, Urlare non serve a nulla , 2014, ed. BUR Rizzoli.

Claudia M.Gold, I pensieri segreti dei bambini, 2012, Sperling & Kupfer. 

Penney Hames, I bambini non fanno mai i capricci, 2017, Red.

Cos’è il mobbing e qual è nel nostro Ordinamento la sua tutela legale

Per mobbing si intende una serie di comportamenti posti in essere dal datore o da altri colleghi per un prolungato lasso di tempo nei confronti del dipendente finalizzati ad umiliarlo, bloccargli e/o ostacolargli la carriera, escluderlo progressivamente dal contesto aziendale e dagli altri colleghi.

Si precisa che per avere mobbing le condotte debbono protrarsi per almeno 6 mesi continuativi.

Esiste innanzitutto il cosiddetto mobbing gerarchico o verticale, esercitato da superiori verso i propri lavoratori sottoposti, che non si manifesta nei confronti dei soli dipendenti deboli, ma soprattutto a danno dei lavoratori con spiccata personalità, o troppo bravi, o con un’anzianità che è divenuta troppo costosa dal punto di vista della retribuzione., Questi ultimi possono essere relegati a ricoprire incarichi umilianti oggettivamente o in relazione alla propria professionalità, mentre possono essere sottratte mansioni gratificanti ai mobbizzati. Essi vengono spesso sottoposti a richiami pubblicamente o per iscritto, anche per piccolezze o per comportamenti consentiti ad altri o, se assenti, vengono abitualmente segnalati per ricevere il controllo del medico fiscale. Agli stessi vengono assegnati uffici e attrezzature di lavoro di scarsa qualità rispetto al contesto aziendale e al ruolo ricoperto, con ambienti distanti oppure piccoli e scarsamente illuminati, con telefoni, computer e stampante che si guastano spesso, sedie e scrivanie scomode e l’autorizzazione (più o meno esplicita) ad altro personale di far uso abituale della postazione del mobizzato o di spostare o far sparire oggetti personali o materiale di lavoro dal tavolo o dalla cassettiera della vittima, soprattutto in sua assenza.

Il mobbing orizzontale invece è messo in atto dai colleghi, in forme che possono comportare l’isolamento sociale, la mancanza di collaborazione che non permette di svolgere i propri compiti, o perfino attacchi alla salute fisica simili a quelli descritti nella tipologia gerarchica, nonché comportamenti in grado di minare l’equilibrio psicologico attraverso umiliazioni personali.

Il mobbing dal basso: sono i dipendenti sottoposti a porre in essere una serie di condotte che finiscono per svilire il ruolo del capo ed emarginarlo;

Il quick mobbing: in questo caso basta una sola azione vessatoria molto violenta ed intensa per destabilizzare il soggetto senza rispettare quindi il criterio temporale dei 6 mesi.

La vittima di mobbing può subire, in base alla diversa condotta mobbizzante, un danno patrimoniale e/o un danno non patrimoniale.

Il danno patrimoniale è costituito dai danni economici diretti che sono stati subiti a causa del mobbing. Si pensi al mutamento delle mansioni. Se un dipendente addetto alla cassa viene demansionato a operatore delle pulizie perde, ad esempio, l’indennità di cassa. Questo è un danno economico diretto, ossia una diretta diminuzione di entrate per il dipendente mobizzato.

Quando non è possibile quantificare in modo certo il danno, in quanto non patrimoniale, e quindi esistenziale, biologico o morale, il Giudice, se viene provato il mobbing, potrà procedere ad una liquidazione equitativa, vale a dire secondo giustizia, utilizzando come parametro di riferimento una quota della retribuzione per il periodo in cui si è protratta la condotta mobbizzante. Tale voce di danno ben potrebbe aggiungersi a quello patrimoniale ove esistente.

La prova del mobbing non è facile.

Prima di incaricare un avvocato per avviare una causa per mobbing, appare indispensabile valutare se vi sono le prove del tuo diritto. Devi cioè poter dimostrare:

  • di essere stato vittima di comportamenti mobbizzanti da parte del datore: di essere stato ad esempio assegnato a mansioni inferiori o privato degli incarichi che hai sempre svolto, attraverso lettere e/o ordini di servizio;
  • di essere stato ingiustificatamente rimproverato o umiliato davanti a colleghi e/o clienti;
  • di essere stato isolato dai colleghi perché, ad esempio, assegnato ad un ufficio dove lavori da solo e dove nessuno ti passa informazioni, ecc.;
  • che questa condotta mobbizzante ti ha danneggiato sul piano professionale e/o personale: ad esempio ti ha impedito di progredire nella carriera, ha impoverito il tuo bagaglio di conoscenze professionali impedendoti di aggiornarti; ha determinato uno stato di depressione, ansia, certificato o certificabile dal tuo medico in quanto stai seguendo terapie, prendendo farmaci o seguendo delle sedute dallo psicologo;
  • di esserti recato presso un centro specializzato in medicina del lavoro istituito in uno dei principali ospedali della tua città, in alcuni vi sono proprio gli sportelli del mobbing ed essere dunque in possesso di una relazione medica che attesti che ti trovi in una condizione di stress, depressione o malessere derivanti dall’ambiente in cui lavori.

Fondamentale è provare che vi sia il nesso di causalità tra il danno e l’azione che si assume mobizzante.

Quanto invece ai fatti spesso gli stessi devono essere provati tramite testimoni, prova assai complicata in quanto dipendenti o colleghi dell’agente mobbizzante.

Prima di avviare la causa sarà dunque fondamentale capire se si hanno prove sufficienti, sia testimoniali che documentali, per consentire al Giudice di accertare che c’è stato davvero mobbing e che si è prodotto un certo danno.

Si precisa che la legge pone a carico del datore di lavoro l’obbligo di tutelare e preservare la salute e sicurezza del dipendente . Da questo obbligo discende la responsabilità del datore di lavoro in caso di mobbing anche se l’azione viene esercitata non direttamente da lui ma da altri dipendenti.

Proprio per questo la causa per il risarcimento del danno da mobbing viene fatta al datore di lavoro e non alle singole persone che hanno posto in essere i comportamenti vessatori.

Per intraprendere una causa di mobbing è necessario rivolgersi al Tribunale del lavoro competente per territorio.

Per una causa di lavoro i tempi non sono generalmente lunghissimi, dipende dal carico di lavoro dei giudici nei singoli tribunali, ma i gradi di giudizio sono tre.

Infatti la sentenza di primo grado, efficace in via provvisoria, può essere impugnata dalla parte soccombente dinnanzi alla Corte d’Appello, e la pronuncia potrà poi essere poi oggetto di impugnativa dinnanzi alla Corte di Cassazione.

 

Studio Legale Bolognini

Avv. Claudia Bolognini

Patrocinante in Cassazione

Via Lucrezio Caro, n. 62 – 00192 Roma

Tel. 06-3610928 cell. 3292607404

e-mail: avv.claudiabolognini@libero.it         pec: claudiabolognini@ordineavvocatiroma.org

Stalking

L’art. 612 bis  (atti persecutori, comunemente noto come stalking), è stato introdotto con il D.L. n.11 del  23.2.2009 ‘Misure urgenti in materia di pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori’ convertito con modificazioni  in Legge 23 aprile 2009 n.38.

Il dispositivo recita ‘Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumita’ propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.

 

Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all’articolo 612, secondo comma. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.

PERCHE’ E’ STATO INTRODOTTO ?

Con la nuova disposizione normativa, si è cercato di dare una risposta sanzionatoria valida, a condotte scarsamente tutelate dall’ordinamento giuridico, nei confronti delle vittime di molestie insistenti. Queste condotte, erano precedentemente collocate nei reati meno gravi di minaccia, violenza privata e nella contravvenzione di molestie, fattispecie spesso dimostrate inadatte a tutelare vittime di atti persecutori di una gravità tale, da sfociare, in alcune circostanze, addirittura nell’uccisione delle vittime stesse.

LE VITTIME E LA CONDOTTA

Le vittime di stalking, sono principalmente donne che subiscono molestie da parte di ex, mariti, fidanzati o conviventi. Affichè si configuri il reato, è essenziale che la condotta criminosa costituita da minacce e molestie, sia reiterata, quindi una pluralità di condotte che deve verificarsi in tempi e contesti differenti. Per minaccia è intesa la promessa di un male futuro e prossimo e per molestia un’ azione che alteri l’equilibrio psico fisico dell’individuo. Tali comportamenti devono essere idonei a cagionare nella vittima un ‘grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumita’ propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita’

Appare rilevante evidenziare che non sia fondamentale la presenza fisica dello stalker per la sussistenza del reato, risultando idonei anche danneggiamenti di oggetti di proprietà della vittima, telefonate, sms, ecc.

COME TUTELARSI ?

In merito al termine di 6 mesi per proporre querela indicato nella norma, questo inizia a decorrere dal momento della consumazione del reato, quindi dal momento in cui la vittima inizi ad alterare le proprie abitudini di vita o ricada nello stato di ansia o di paura.

Per una maggiore tutela della persona offesa, in attesa di proporre la querela, il legislatore ha previsto l’opportunità di ricorrere ad una misura di prevenzione ad hoc per questa fattispecie di reato: la  procedura di ammonimento. Il questore potrà dunque, valutare l’istanza presentata, e, qualora lo ritenesse opportuno, invitare lo stalker a tenere un comportamento conforme alla legge, interrompendo ogni interferenza nella vita della vittima.

Qualora l’ammonito proceda nella condotta oppressiva, vedrà conseguenze negative in relazione alla linea sanzionatoria, con un   aumento della pena per il delitto di cui all’art. 612 bis che diverrà quindi procedibile d’ufficio.

In proposito, si evidenzia che contestualmente all’introduzione del reato di Atti persecutori, il legislatore ha immesso  una nuova misura cautelare coercitiva, al fine di assicurare una maggiore protezione della vittima: l’art. 282 – ter c.p.p., ‘divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa’.

Con tale provvedimento, il Giudice prescrive all’imputato di non avvicinarsi a determinati luoghi frequentati dalla vittima o di mantenere dagli stessi o dalla vittima una certa distanza; qualora si rendesse necessario potrà essere imposto ‘di non avvicinarsi a luoghi determinati, abitualmente frequentati dai prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva’.

 Può anche essere interdetta la comunicazione con ogni mezzo con i soggetti protetti dalle norme.

A cura di :

Avv. Ginevra Buzzanca

Viale Giappone n.12 – 00060 – Formello – Roma

Tel./Fax 06.45615245 – Cell. 3392390328

Mail : ginevrabuzzanca11@gmail.com

Non umilarmi

Quando un genitore dice ad un figlio: “sei cattivo!” oppure “non sei capace!” oppure “non capisci niente!” sta esprimendo una rabbia nei suoi confronti, probabilmente simile a quella che qualcun’ altro di significativo in passato ha espresso su di lui. Sicuramente non lo sta aiutando a sviluppare aspetti positivi della sua personalità, per quanto, forse, lo vorrebbe.

Una ricerca su questo tema ha dimostrato che  “i figli che erano stati trattati dai genitori in maniera irriguardosa e svalutante, erano gli stessi ragazzi che sperimentavano le maggiori difficoltà nell’apprendimento scolastico e nelle amicizie. Questi ragazzi avevano i livelli più alti di ormoni collegati allo stress. Inoltre avevano maggiori problemi comportamentali, secondo quanto riferivano i loro insegnanti (…). L’atteggiamento di scherno da parte dei genitori può essere osservato sia nella vita reale sia nelle esperienze di laboratorio. In ogni istante, genitori bene intenzionati sgretolano la fiducia in se stessi dei propri ragazzi, correggendo continuamente il loro modo di fare, deridendo i loro sbagli e immischiandosi senza bisogno anche quando i figli cercano di eseguire i compiti più semplici” (J. Gottman, Intelligenza emotiva per un figlio: una guida per i genitori, BUR, 2015).

Per un genitore fare un lavoro di messa in discussione delle proprie modalità di comunicazione e di espressione nei confronti di un figlio diventa un compito di primaria importanza per non ritrasmettere di generazione in generazione gli stessi copioni.

Siblings

Spesso all’interno di famiglie in cui è presente un bambino diversamente abile, il fratello/sorella normodotato tende a restare involontariamente sullo sfondo. Inizia a costruire la propria identità e personalità in relazione e reazione al modo di essere del fratello disabile e in base al comportamento dei genitori e della società nei confronti della disabilità stessa.

Il sibling può sviluppare allora una personalità tendente alla chiusura, alla timidezza e all’introversione oppure una personalità tendente alla ribellione e alla trasgressione. Spesso i siblings si trovano a fare i conti con diversi vissuti emotivi quali paura e ansia, emarginazione e responsabilizzazione precoce; si può verificare “uno scambio di ordine di nascita” (il sibling secondogenito si prende cura del fratello/sorella disabile primogenito).

In età adolescenziale i siblings si trovano a dover affrontare una serie di dubbi e paure rispetto al loro futuro e a quello del proprio fratello disabile.

Alla luce di quanto sopra descritto, si rendono spesso necessarie in questi casi delle modalità di sostegno preventive non solo per i genitori ma anche per i siblings, “pensate per offrire il supporto necessario negli snodi della vita in cui la questione disabilità diventa una variabile importante e significativa”(http://www.famigliabile.it/Siblings.html).

Diverse associazioni organizzano dei gruppi di auto mutuo aiuto per siblings: l’intento è quello di favorire uno scambio di emozioni e un confronto tra persone che si trovano ad affrontare situazioni molto simili. L’obiettivo è quello di rinforzare le proprie competenze e la propria autostima, accrescendo la consapevolezza rispetto alla propria appartenenza e al proprio ruolo in famiglia e in società.

Libro consigliato:

Siblings, crescere fratelli e sorelle di bambini con disabilità, Andrea Dondi, 2018.